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A CURA DI GEA (Gruppo Escursionisti dell'Ariola)

Cammino dei tre abbeveratoi



È un cammino che ripercorre alcuni sentieri storici di Monteroduni che nei secoli passati sono stati intensamente utilizzati per raggiungere i terreni coltivati nelle vallette e nei pianori presenti sulla montagna che cinge e sovrasta a est il centro abitato.

Il percorso parte dal quadrivio della Forcella, risale il Calvario fino alla seconda rampa della Strada della Ruspa, e quindi prosegue lungo la Strada fino all’imbocco dell’antico sentiero, cento metri più a monte del terzo tornante, che da qui inizia a inerpicarsi lungo le ripide pendici della Montagna della Terra.
Questo punto è oggi il vero inizio del Cammino dei Tre Abbeveratoi, e da qui subito raggiunge l’Aria Vecchia, dalla quale si gode una prima incantevole vista su Monteroduni e sull’intera piana.

l’Aria Vecchia, dalla quale si gode una prima incantevole vista su Monteroduni e sull’intera piana.

Le “arie” (“aie” in italiano) erano dei piccoli spiazzi, una sorta di terrazzi aperti, pavimentati con lastre di pietra chiamate “lisciottere”, che nel passato erano adibiti alla trebbiatura del grano con l’antico sistema della battitura. I contadini distendevano le spighe sul duro lastricato dell’aria e poi le facevano calpestare dai buoi bendati (perché se avessero visto il grano, invece di camminarvi sopra si sarebbero fermati per mangiare), o dagli asini, che con gli zoccoli, e grazie anche allo sfregamento di una lastra di pietra che trascinavano, separavano i chicchi dalle spighe. Le spighe venivano anche battute con un palo snodato, il “curiato”. Quando i chicchi erano stati separati si lanciavano con una pala contro vento in modo che la paglia e la pula, più leggere, cadessero lontano; poi i chicchi subivano una seconda brillatura usando un grande cesto con tanti fori larghi come i chicchi stessi, attaccato al centro di tre pali legati a capra.

L’Aria Vecchia, quindi, è la prima “Aria” che s’incontra nella risalita. È posta immediatamente a ridosso della pista forestale di recente aperta per il rimboschimento del Colle del Moricone. È un luogo vividamente segnato nella memoria di tanti monterodunesi che da ragazzini, riuniti in bande, la raggiungevano per avere un comodo punto di partenza per le avventurose escursioni alla scoperta della Montagna della Terra e del Vallone del Vaglio, o, più semplicemente per giochi e “pranzarelle” intorno all’imponente Noce che lì vegetava da chissà quanti lustri.

La storica Noce dell’Aria Vecchia in una foto di inizio anni ‘70
La storica Noce dell’Aria Vecchia in una foto di inizio anni ‘70

L’aia, a opera di volontari di GEA Monteroduni, è stata recentemente ripulita dai fitti rovi che ne impedivano l’accesso. I volontari hanno anche rimesso a dimora la storica “Noce” e trasportato una panchina. Ora l’aia è disponibile per il godimento di chi volesse raggiungerla con una breve, piacevolissima e ritemprante passeggiata dalla Forcella.

Lavori di ripulitura dell’Aria Vecchia
Lavori di ripulitura dell’Aria Vecchia del maggio 2015

L’Aria ripulita e la nuova Noce
Il relitto del tronco dell’antica Noce


L’Aria ripulita e la nuova Noce

Nelle vicinanze dell’Aria Vecchia, circa cento metri più a valle, verso il colle del Moricone, si trova l’omonimo abbeveratoio, il primo dei tre che si incontrano lungo il Cammino. È posto lungo la pista forestale recentemente aperta, in corrispondenza del Vallone del Moricone, e raccoglie le acque di una sorgente stagionale che sgorga un centinaio di metri a monte.

Abbeveratoio dell’Aria Vecchia
Abbeveratoio dell’Aria Vecchia, il primo abbeveratoio

Dall’Aria Vecchia, iniziando l’ascesa vera e propria verso Colle Mannone, il Cammino segue prima la pista forestale fino ad un antico pozzo – un caratteristico e ingegnoso manufatto in pietra per il drenaggio e la raccolta delle preziosissime acque di stillicidio – e poi, sempre seguendo la stessa pista, svolta a nord, e continua, percorrendo pianori erbosi una volta coltivati a cereali, fino a raggiungere il ripido crinale della Montagna della Terra che affaccia sul Vallone del Vaglio.

L’antico pozzo dell’Aria Vecchia
L’antico pozzo dell’Aria Vecchia

Pozzo dell’Aria Vecchia

Percorrendo questo tratto si apre la visione dall’alto sul crinale del Moricone – naturale prosecuzione del più alto crinale della Montagna della Terra – e sulle larghe macchie di ginestra che lo rivestono: veri e propri tappeti che a giugno si tingono di giallo caldo e avvolgono il camminatore con il loro intenso profumo.




Mèrze Muréteche

Arrivato sul crinale, il Cammino lo risale seguendo la sua ripida pendenza fino all’inizio dell’antica mulattiera delle Mèrze Muréteche. Questo è il tratto più duro dell’intero Cammino, che si supera mantenendo un passo lento e, se affaticati, facendo le necessarie soste.

Le Mèrze Muréteche corrispondono allo scosceso versante della Montagna della Terra esposto a nord (questo è il significato in italiano dell’appellativo dialettale Muréteche) che scende sul Vallone del Vaglio. Sono ricoperte da un bosco (e questo è il significato in italiano del nome dialettale Mèrze) di carpino bianco e leccio. Se si percorre la ancora ben segnata mulattiera nei mesi invernali si è avvolti dagli echi del forte scrosciare delle acque nella miriade di cascatelle del sottostante Vallone; nei mesi estivi, invece, si è ritemprati dalla frescura offerta dai contorti e fitti arbusti.


Sentiero delle Mèrze Muréteche

Il Cammino raggiunge quindi il secondo dei tre abbeveratoi, quello appunto chiamato delle Mèrze Muréteche, che appare all’improvviso proprio in corrispondenza dell’intersezione della mulattiera con la parte sommitale del Vallone del Vaglio.

Abbeveratoio delle Mèrze Muréteche
Abbeveratoio delle Mèrze Muréteche, il secondo abbeveratoio

L’acqua che sgorga dalla viva roccia e gocciola dai muschi che la ricoprono è, a detta di molti, la più buona di Monteroduni.




L’abbeveratoio d’inverno con l’acqua che scende abbondante anche dal Vallone a monte

E qui occorre fare una sosta per una rigenerante degustazione e per godere della vista del possente Vallone del Vaglio, che scende fino alle Camporella e più giù al Castelluccio, alle Grotte, per sversarsi infine nella conoide alluvionale delle Starze, dove, nel passato, tanti danni ha fatto.

Vista sulla parte alta del Vallone del Vaglio
Vista sulla parte alta del Vallone del Vaglio

Il Vallone, infatti, rappresenta un fondamentale compluvio del sistema idrografico sotterraneo, che drena le acque montane fino alla sottostante piana, alimentando, così, le importanti sorgenti di Capotrio e Madonna del Piano con le quali si irrigano i terreni di larga parte della campagna monterodunese.

Dal secondo abbeveratoio il Cammino riprende la salita e, sempre seguendo la stessa mulattiera, arriva a Valle Giacobba posta tra la Montagna della Terra e Colle Pennacchio, vallette, anche queste, fino agli anni ’60, intensamente coltivate. È un paesaggio antropico ormai inselvatichito, dove sono ancora presenti i muretti in pietra che sostenevano le antiche terrazze agricole.

Colle Pennacchio
Panorama su Valle Giacobba con Colle Pennacchio a sinistra e Colle Mariamone a destra

Nel mese di agosto è frequente essere avvolti all’improvviso dall’intenso profumo di origano che qui è presente nella sua pregiata varietà rossa.


I singolari recinti di Colle Pennacchio (foto satellitare)

Da qui si può fare una breve deviazione al vicino Colle Pennacchio, sulla cui sommità, a confine con il comune di Sant’Agapito, sono presenti degli antichi muri (il più grande ha dimensioni di circa 150 x 60 metri). Probabilmente erano i recinti di uno stazzo per ovini (in dialetto cammandre), ma le eccezionali dimensioni e la posizione proprio sulla cresta del colle, esposto a tutte le intemperie, sono per lo meno insolite.
 
Il “cammandre” (?) di Colle Pennacchio
Il “cammandre” (?) di Colle Pennacchio

Con una svolta a est, il Cammino risale le vallette e incontra la prima di una serie di Caselle, cioè delle semplicissime costruzioni in pietra a secco, coperte con liscie (lastre di pietra), utilizzate dai contadini per i pernottamenti e come ricovero in caso di pioggia.


Era infatti frequente che, data la distanza e il faticoso dislivello da percorrere, i contadini facessero rientro al paese solo dopo una o due settimane di permanenza continua in montagna.

Risalite le vallette, il Cammino giunge subito alla cosiddetta Aria di Titta Riane, che pure era un’aia per la trebbiatura dei cereali, anch’essa pavimentata con grandi lisciottere di pietra.



Da questo secondo terrazzo si gode il panorama più bello su Monteroduni, e raggiungerlo già ripaga della fatica.

Aria di Titta Riane
Il belvedere più bello su Monteroduni

Essere là, dopo aver risalito quelle pendici e quelle vallette, e ritrovarsi faccia a faccia con la bellezza totalizzante che all’improvviso si svela, dona una sensazione di benessere veramente rara. La bellezza misteriosa e infinitamente varia di un mondo diverso si irradia in noi, ci riempie di una gioia quieta che di colpo dissolve la fatica fatta seguendo un percorso selvatico in una sorta di avvincente avventura, e fa restare davvero ammutoliti davanti alla visione, unica, dell’intera alta valle del Volturno, con le Mainarde a fare da sfondo, e Monteroduni, con la sua piana, piccolo piccolo al centro della scena, e mai così vicino al cuore come in questo posto.

Il Cammino quindi continua l’ascesa sulla pendice opposta a quella dell’Aria di Titta Riane. Passa per Valle Rotella (in questo tratto si congiunge al Cammino il sentiero proveniente da S. Agapito) e finalmente arriva al pianoro delle Chianelle, posto tra Colle Mannone (m 1086) e Colle Manniglio (m 1082), dove si spalanca davanti ai nostri agli occhi e alle nostre menti, sereno, un paesaggio che aleggia attraverso il tempo.

Le Chianelle    

Le Chianelle non è un luogo qualsiasi. Si rimane subito isolati in questo spazio, dove tutto è sospeso in un silenzio ancestrale, in sintonia con la profonda bellezza che lo riempie, suggestionati dalle tante vicende naturali e culturali che sembrano rivivere, si scorgono qua e là le tracce lasciate dagli uomini nel susseguirsi dei secoli. L’immaginazione lascia scorgere il mondo diverso che ci ha preceduto. Percezione del presente e fantasie del passato si mischiano in un flusso continuo di emozioni, fino a indurre un leggero senso di vertigine.

Le Chianelle e Colle Manniglio, la Montagna Verde

Lì si sono inerpicate, risalendo la Montagna della Terra, chissà quante persone, per perpetrare un’economia che, tutto sommato, doveva garantire solo una misera sussistenza. È, questo, il valore aggiunto: la bellezza arcaica e semplice di un paesaggio che promana dalla infinità di storie che là dentro sono avvenute.

Dalle Chianelle è d’obbligo raggiungere il cocuzzolo di Colle Manniglio (m 1082) – la Montagna Verde – o sostare per un momento davanti ai ruderi della Casella.  Come è d’obbligo affacciarsi dal belvedere di Colle Mannone (m 1086).


Colle Mannone da Colle Manniglio, con le Chianelle


I ruderi della Casella di Colle Mannone


Panorama da Colle Mannone, con al centro la Montagna della Terra


Suggestivo scatto da Colle Mannone

Chi vuole, potrà raggiungere il vicino cocuzzolo di Monte Altone (m 1095), chiamato dai longanesi ru Iautone, che offre una spettacolare vista a 360 gradi, o ammirare il muro che segna il confine tra Monteroduni e Sant'Agapito fino all’altro cocuzzolo di Colle la Croce (m 1100).


Panorama da Colle Mannone su Colle Manniglio e le Chianelle con il Matese e Monte Miletto sullo sfondo


Da Monte Altone: Colle Mannone a sinistra, Colle Manniglio al centro, Colle la Croce a destra. In primo piano i ruderi della Nevera

Da non perdere, inoltre, la visita alla vicina Nevera, che è un antico manufatto interrato in muratura a pianta circolare adibito alla conservazione, fino ai mesi estivi, della neve.

La Nevera
La Nevera, con la copertura a volta (ormai crollata), e le Chianelle (da G. De Giacomo, Monteroduni dalla preistoria al Mille, Ed. Lamberti, 1988)

La conservazione avveniva alternando strati di neve ghiacciata a strati di paglia. All’inizio della stagione calda si prelevavano dei blocchi dal ghiaccio così conservato e si trasportavano a dorso d’asino al paese per essere utilizzati per la preparazione di gustosissime e ricercatissime n’zurbètte (le granite di una volta).

Interno della Nevera
Interno della Nevera

Nel percorso dalle Chianelle alla Nevera l’attenzione viene attratta da qualcosa che, forse, riesce a simboleggiare uno dei misteri più grandi del mondo: la crescita, muta e faticosa, della bellezza organica dalla terra. In un impossibile ritaglio di pochi centimetri di terreno presente su una roccia è nato un alberello, un cerro. Ora sta lì, stabile e vivente, e sembra il simbolo delle molte cose belle che si sono osservate strada facendo, quasi a volercele ricordare tutte. Sì è quasi tentati di abbracciarlo e stringerlo al petto.




Notte di S. Lorenzo 2016 a Colle Mannone


Una delle caratteristiche caselle di Piana del Pozzo

Dopo la sosta, il Cammino inizia la discesa ripercorrendo prima la parte alta di Valle Rotella, poi deviando per la mulattiera che porta al terzo abbeveratoio, quello detto della Piana del Pozzo.

Abbeveratoio di Piana del PozzoAbbeveratoio di Piana del Pozzo, il terzo abbeveratoio


Il Pozzo, che dà il nome anche alla Piana, è posto circa 20 metri a monte dell'Abbeveratoio, ed è a questo collegato con una condotta interrata

Dopo l’Abbeveratoio, il Cammino segue in discesa la ripida Strada dei Peschi, che si sviluppa lungo il versante della Montagna della Terra che dà su Monteroduni.

Panorama da Piana del Pozzo
Panorama da Piana del Pozzo con l’imbocco della Strada dei Peschi

Strada dei Peschi
Discesa per la Strada dei Peschi

Questa Strada era il collegamento diretto con l’Aria Vecchia, ed è così chiamata perchè passa appunto attraverso “i Peschi”, cioè attraverso la parete rocciosa visibile da Monteroduni in corrispondenza della sommità della stessa Montagna della Terra. Non è semplice, oggi, trovare l’esatto punto di passaggio fra le rocce. A causa della vegetazione è facile invece sbagliare e ritrovarsi sull’alta parete verticale, impossibilitati a ridiscenderla.  

Ripresa quindi la Strada dei Peschi, il Cammino incontra subito le P'rète Spaccate, due enormi massi ognuno con una netta fenditura, tanto singolari quanto misteriose.

Le Prète Spaccate
Le P'rète Spaccate

Più giù, raggiunti i pianori dell’Aria Vecchia, il Cammino passa davanti a una terza aia per la trebbiatura dei cereali, e subito dopo davanti al cosiddetto Mure Ammuccate: un banco di calcareniti con singolarissime fratturazioni che, con perfetti angoli retti, riproducono le forme di una precisa muratura in pietra squadrata. Non è difficile trovare fossili.

La terza aia
La terza aia

Mure Ammuccate
Mure Ammuccate

Mura Ammuccat


   

Il Cammino, dai pianori, raggiunge di nuovo la pista forestale percorsa nel senso opposto alla partenza, e fa così ritorno alla Noce dell’Aria Vecchia. Da qui, infine, ridiscende alla Forcella.

Al rientro, la sensazione intensa è di aver vissuto un’avventura fatta di sforzo fisico, tenacia, equilibrio, umiltà, curiosità, visioni, odori, storie, bellezze, stupore. Si ha la consapevolezza di aver fatto un’esperienza quasi catartica, di essere stati non in un luogo qualunque, ma di essere stati immersi in un luogo che calma e risana il corpo e anche lo spirito, perché in questo luogo è custodito anche un pezzo della memoria di una comunità e delle persone semplici che ne hanno fatto parte.
E quello che rimane è la gioia, e la certezza che il Cammino non è finito, ma continua.


A Toni



Gea Monteroduni
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