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A CURA DI GEA (Gruppo Escursionisti dell'Ariola)

Cammino del Fiume 2


l Cammino del Fiume, dopo il primo tratto che si svolge nella parte a monte della ferrovia, con questo secondo tratto, che invece si svolge nella parte a valle, completa l’intero percorso del Volturno – di circa 6 chilometri totali – nel tenimento di Monteroduni.
 
Anche in questo secondo tratto il Cammino tocca luoghi ricchi di storia e di testimonianze del passato, oltre che di bellezze naturali.


Viabilità della zona. Tratto da Richard Hodges, Papers of the British School at Rome, Vol. 58, 1990

Infatti, come si è visto, in questa parte di territorio si intersecavano le antiche vie che collegavano la Campania e il Lazio con l’Abruzzo e il Molise – oggi corrispondenti, grosso modo, con le strade statali 85 “Venafrana” e 158 “Della Valle del Volturno” – e qui tali vie attraversavano il Volturno che, entrato definitivamente nella piana che lambisce le falde occidentali dei monti del Matese, dispiega il suo corso tra ampie e bianche distese di ghiaia e ciottoli.
 
Si è anche visto, durante il primo tratto, che queste “distese di ghiaia e ciottoli”, in dialetto vrecciari, sono oggi sparite a causa degli indiscriminati prelievi di buona parte della portata d’acqua e dello stesso materiale ghiaioso largamente adoperato nei locali impianti per la produzione di calcestruzzo, e così il nostro Fiume ha subito nell’ultimo quarantennio la profonda alterazione, evidente dal confronto anche delle foto seguenti, scattate dallo stesso punto, nelle quali è ripreso il tratto di Fiume tra il Ponte 25 archi e il Ponte della ferrovia.


Celebre cartolina di metà degli anni ’60 con il Ponte 25 archi, in basso, e il Ponte della ferrovia


 Il Fiume è oggi nascosto dalla fitta vegetazione, sono spariti i due vecchi ponti e a malapena si intravede il nuovo ponte stradale

Così, oggi il Volturno è diventato del tutto irriconoscibile, e non è più il Fiume che, come scrive Giose Rimanelli in Molise Molise, «si arrotola e diparte, si divide e ricongiunge fra i vrecciari; rumoreggia nei maraoni, mormora nei canali, si acquieta sotto alle vetiche».
 
Ciononostante, anche questo secondo tratto conserva ambienti fluviali nuovi rispetto a quelli di qualche decennio fa, ma singolari e angoli ugualmente suggestivi.
 

Il Cammino riprende allora da S. Eusanio per raggiungere la contrada Campo la Fontana, posta al confine con Capriati al Volturno. Seguendo la vecchia statale corrispondente al tracciato dell’antica via romana, incontra subito, nella rigogliosa contrada Socce, il “Casino Scarduzio”, di proprietà della omonima facoltosa famiglia monterodunese che possedeva anche buona parte di quelle terre.



Anche contrada Socce è un luogo frequentato dall’uomo sin dalla notte dei tempi. Il canonico Francesco Scioli (1829-1911) scrive in un articolo apparso nel Bullettino di Paletnologia Italiana, Vol. VII, anno 1881 – importante rivista fondata da Luigi Pigorini, il padre della Paletnologia italiana – che egli in questa contrada ha rinvenuto tombe risalenti all’Età della Pietra.

Inoltre, con gli scavi condotti nel 2001 dall’archeologo Michele Raddi, in un terreno privato posto a ridosso della vecchia statale, sono stati rinvenuti i resti di una ecclesia baptisimalis che riutilizzava le solide strutture murarie di una precedente grande villa rustica romana, insieme a numerose tombe a cappuccina e a cassone databili non oltre il VII, inizi VIII secolo, ed esemplari numismatici ascrivibili a zecche del VI, VII secolo. Probabilmente è questa l’Ecclesiae S. Andreae menzionata nel Privilegio di Papa Lucio III a Rainaldo vescovo di Isernia del 1182.


 L’Ecclesiae baptisimalis di S. Andrae (foto M. Raddi)


Fonte battesimale e tomba a cassone (foto M. Raddi)

Proprio di fronte agli scavi, a ridosso di Ponte Latrano, ci sono i ruderi dell’antica taverna/mulino di don Carlantonio Scarduzio (poi “Mulino Raddi”). È l'ultimo dei cinque mulini che sorgevano lungo il corso del torrente Caprionero-Ravicella, rimasto in funzione fino agli anni ’50.


 Mulino Raddi, già Taverna di don Carlantonio

Dal Casino Scarduzio, il Cammino imbocca la stradina che scende al Fiume e raggiunge il luogo dove, come scrive il canonico Antonio Mattei in Memorie storiche di Monteroduni, l’antica via romana superava il Volturno con una scafa, e dove oggi si trova il ponte della ferrovia Venafro–Isernia, noto come “Ponte di Ferro”.


 Foto d’epoca del “Ponte di Ferro”

Inaugurato nel 1894, il Ponte di Ferro fu distrutto dai tedeschi nella II Guerra Mondiale e poi ricostruito, come oggi appare, con arcate in cemento armato. L’autorevole storico Domenico Caiazza annota che durante la costruzione di questo ponte si videro le tracce di un precedente antico ponte con il quale la “Via Latina” attraversava il Volturno (vd. Domenico Caiazza, La Via Latina e le sue diramazioni, Volturnia Edizioni, 2010).

Il tratto di Fiume così raggiunto, subito a valle del Ponte di Ferro, è oggi il tratto no-kill di una riserva di pesca molto praticata dagli appassionati “moscaioli” di tutta Italia, e, fino a qualche decennio fa, anche luogo frequentatissimo dai monterodunesi per scampagnate e bagni estivi.

Per arrivare a questo tratto di Fiume il Cammino ridiscende, dal Casino Scarduzio, il “terrazzo fluviale” di calcareous tufa già incontrato al Guado San Nicola e che qui alle Socce ne costituisce la naturale prosecuzione. E il “terrazzo fluviale”, lungo il cui piede sgorgano diverse caratteristiche piccole sorgenti stagionali, delimita, nella parte a valle, un fitto boschetto igrofilo in cui predomina il pioppo bianco, unito a salicone e ontano. È questa una piccola oasi di elevato valore naturalistico, popolata da donnole, faine, tassi, cinghiali, e da poco, sembra, anche da caprioli: la Chiuppera.


 La Chiuppera

Il Cammino, quindi, percorre interamente “l’oasi umida” della Chiuppera, seguendo una pista che si snoda tra la fitta vegetazione. Qui infatti incontra, oltre ai corsi dei ruscelletti che hanno origine dalle piccole sorgenti del terrazzo, anche l’importante torrente Mataranne (è l’espressione dialettale di Limata Grande, il nome della contrada), che si forma dalla confluenza delle acque del Cursitiello (alimentato dalla sorgente Capotrio) con quelle provenienti dal vallone della Ravicella e da Caprionero. Il Mataranne qui si dipana tra una quasi impenetrabile vegetazione creando, prima di sfociare nel Fiume, suggestivi e selvaggi angoli.


 L’affaccio sul Fiume delle Mataranne, la parte più a valle della Chiuppera (foto scattata dal Ponte 25 Archi)

Il Mataranne è ricco di trote ed è l’habitat naturale della litica (la lontra), un animale che si credeva scomparso, ma che è stato di recente riavvistato.


 Le Mataranne all’incrocio con la pista seguita dal Cammino


 Confluenza del Cursitieglio, a sinistra, con il Ravicella/Caprionero


 Le Mataranne

Attraversata la Chiuppera, il Cammino giunge al Ponte 25 archi, la cui costruzione fu iniziata nel 1813 e terminata nel 1852. Lungo 262 metri, sostituì l’antico traghetto su scafa delle Socce. Con il Ponte furono realizzate anche le due bretelle di collegamento alla Strada degli Abruzzi, presso la Taverna di Roccaravindola e all’antica strada principale “dinanzi al Casino degli Scarduzio, donde scendeva al piccolo pianoro per l’attracco della scafa” (vd. Don Antonio Mattei, Memorie storiche di Monteroduni). Furono anche realizzati il Ponte Capotrio sul Torrente Cursitieglio e il Ponte Latrano sul Torrente Caprionero-Ravicella.


 Foto del 1944 del ponte distrutto. Si nota il costone di contrada Quinti, con il quale la piana di Monteroduni si affaccia sul Fiume

Il Ponte 25 archi fu fatto saltare in aria dai tedeschi in ritirata e subito ripristinato, data la sua importanza strategica, dagli alleati con un ponte Bailey (gennaio 1944). Più volte rimodernato, è ancora aperto al transito, anche se oggi il nuovo tracciato della statale 85 lo sovrappassa con un più moderno ponte realizzato alla fine degli anni ’70.

Il Cammino, a valle del Ponte 25 archi, entra nella contrada Limiti Santo Spirito, un’arida conoide di deiezione del torrente Rava delle Cupelle, e la percorre seguendo una pista che costeggia il Fiume. Il toponimo Limiti Santo Spirito rimanda all’esistenza nella zona di un monastero di cui si dirà nel prosieguo.


 Il Cammino nell’arida contrada Limiti Santo Spirito tra arbusti di terebinto, ginestra, rosa canina, rovo

Durante il tratto in questa contrada, è possibile osservare, nell’alveo del Fiume, i ruderi di un enigmatico ponte di epoca romana che ancora resistono alle correnti in luogo posto poco più a monte della ormai scomparsa Reppa della Lucina.


 I ruderi dell’enigmatico ponte in contrada Limiti Santo Spirito

 



I grandi blocchi squadrati del basamento che   testimoniano la rilevanza del ponte

Il Cammino raggiunge quindi l’alveo della Rava delle Cupelle, un torrente la cui sorgente si trova nella lontana località Capo le Mandre di Gallo Matese, poco più a valle di Campo Figliolo, e qui confluisce nel Fiume dopo aver attraversato la profonda Forra del Peschio Rosso.


 Alveo del torrente Rava delle Cupelle, proveniente dalla Forra del Peschio Rosso, alla confluenza con il Fiume

Secondo autorevoli studiosi il torrente Rava delle Cupelle è il fiume Saba indicato nella pergamena del 964, con la quale i signori longobardi Pandolfo I e Landolfo III assegnarono la Contea di Isernia al cugino Landolfo, a segnare il confine tra le contee di Isernia e di Venafro (vd. Michele Tuono, Note di topografia storica…, Riv. Sannitica, 1996).

Attraversato l’alveo del torrente, il Cammino arriva infine alla contrada Campo la Fontana in corrispondenza di un’area molto frequentata nei mesi estivi da escursionisti e campeggiatori.


 Area di sosta all’arrivo a Campo la Fontana

Subito a valle, il Cammino continua nel sito di una vecchia cava di materiale ghiaioso che, nella metà degli anni ’90, fu recuperata per attrezzarla e tentare di farne un “parco fluviale”.   


Il sito della vecchia cava di materiale ghiaioso con il Monte Gallo sullo sfondo (vista da monte)

Anche se il recupero della vecchia e arida cava a zona verde è andato a buon fine, altrettanto non può dirsi per il tentativo di renderla fruibile per la sosta e le attività di svago all’aria aperta.


L’area oggi, con “l’argine”  che la separa dal Fiume (vista da valle)

Oggi l’area, facilmente raggiungibile e molto frequentata, versa in uno stato di abbandono, ed è auspicabile un futuro uso per attività compatibili con le sue pregiate qualità ambientali.

Intanto il Cammino raggiunge l’estremo lembo a ovest del territorio comunale, posto ai piedi delle prime pendici del Monte Gallo (lungo crinale di Monte Gallo corre appunto il confine regionale con la Campania), cioè le rigogliose campagne della “Sicilia”, come veniva chiamata, per la sua fertilità, la contrada).

Il nome Campo la Fontana è dovuto alla presenza di una importante sorgente che alimenta un torrente sfruttato per l’irrigazione dei sottostanti terreni – terreni peraltro rinomati per la produzione di una tipica e pregiata varietà di pesche.



Lungo le sponde del torrente, in un luogo prossimo al Fiume raggiungibile seguendo la stradina presente nell’area della cava recuperata appena prima toccata dal Cammino, si trovano i ruderi di due pile di un imponente ponte e di una singolare e bellissima chiesetta campestre alto medievale di forma tricora.


 Foto del 1991 del torrente e alcuni ruderi

Sono questi i resti del Ponte Latrone «fatto costruire da Federico II» su proprio disegno e del «Monastero di S. Spirito detto del Volturno», di cui così parla Giovanni Vincenzo Ciarlanti in Memorie historiche del Sannio, e di cui si sono occupati anche altri studiosi del territorio volturnense come Ludovico Valla e Gianfrancesco Trutta, e più recentemente Gioia Conta Haller, Franco Valente, Richard Hodges, Giuseppe De Giacomo, Don Antonio Mattei, Domenico Caiazza e Paolo Nuvoli.




La Tricora e, a destra, la pila orientale del Ponte Latrone

Non vi sono fonti riguardo all’epoca sia della costruzione che del disfacimento del Ponte, ma sembra che il nome Latrone derivi dall’appellativo latino Olotrone dato al Fiume, e sembra che il ponte abbia fatto parte della strada romana che portava da Aesernia a Capua. Così come non vi sono fonti che consentono una datazione certa della Tricora presente a lato della pila orientale.

Sebbene oggi sia ricoperto da una fitta vegetazione, il luogo conserva un fascino intenso e, per certi aspetti, anche enigmatici. I recenti importanti studi di Franco Valente prima, di Richard Hodges, lo scopritore di San Vincenzo al Volturno, poi, e infine di Domenico Caiazza, offrono risposte solo parziali ai diversi interrogativi ancora aperti.

Rilievo del Ponte e della Tricora con l’ipotesi dell’esistenza di altre arcate  (Da Richard Hodges ed altri, Papers of the British School at Rome, vol. 58, novembre 1990)

Per quanto riguarda il Ponte, Valente ed Hodges ritengono che rifacimenti basso medievali si sovrappongano al precedente impianto di epoca augustea. in oltre, gli Autori, considerata la distanza fra le due pile e la presenza di residuali conci di arco nella pila orientale, ipotizzano che il numero delle stesse pile fosse stato molto più alto, mentre ritengono che il ponte, per la presenza di fori allineati di circa 40 centimetri di lato sulla faccia rivolta verso l’acqua, avesse in origine campate con travate in legno.

Di certo Ponte Latrone ha le medesime caratteristiche costruttive (basamento e paramento realizzati con blocchi squadrati contenenti una muratura di ciottoli di fiume e malta idraulica) dell’altro ponte romano visto in contrada Limiti Santo Spirito. Non può però sapersi con certezza se l’antico impianto originario fosse stato a travata e gli archi fossero stati sovrapposti successivamente con l’obiettivo di trasformare le campate in legno in arcate in muratura, o, al contrario, se l’antico impianto fosse stato ad archi in pietra e le travate sovrapposte in epoca basso medievale. Come pure non si rinvengono i resti di altre pile, e quindi non se ne conosce il numero esatto. Infine, non è dato neanche sapere se i relitti murari siano riferibili davvero a pile e non piuttosto a spalle, come invece ipotizza Domenico Caiazza.


Ponte Latrone, pila orientale (foto Richard Hodges)  -  Ponte Latrone, pila occidentale (foto Angelo Venditti, 1963)


Ponte Latrone, pila orientale,   dettaglio dei conci dell’arco (foto Franco Valente) -  Ponte Latrone, pila orientale,   dettaglio del basamento (foto Franco Valente)

Paolo Nuvoli, poi, solleva una questione di non poco conto circa la completa assenza su entrambe le sponde di altri resti del poderoso manufatto e dell’asse viario che serviva, e avanza perciò l’ipotesi che l’opera fosse stata solo iniziata ma non condotta a termine. (Vd. Paolo Nuvoli, La tabula di Peutinger in area sannitica, Edizioni VITMAR).

Riguardo alla Tricora, tipico esempio di cappella del primo medio evo, è interessante l’osservazione del Valente (sebbene parzialmente smentita da Hodges) circa il posizionamento e il singolare disegno delle aperture sulle pareti per permettere ai viandanti di guardare all’interno.

Interno della Tricora (Foto F.   Valente)   

Disegno proposto da F. Valente Rilievo (R. Hodges)

Inoltre, per la datazione Franco Valente scrive che «è riferibile all’VIII secolo (o comunque ad un periodo compreso tra l’VIII ed il IX secolo) ci conferma che all’epoca della riorganizzazione territoriale dell’alto Volturno ad opera dei monaci di S.Vincenzo il ponte fosse ancora in uso o perlomeno che allora sia stato ripristinato».

Terminiamo queste sommarie narrazioni del Ponte e della Tricora rinviando per gli approfondimenti alle pubblicazioni citate, rinvenibili al link https://www.geamonteroduni.org/archeologiche.html.

Pur tuttavia, non si può non fare un ultimo accenno al “Monastero di S. Spirito detto del Volturno”, di cui parla Ciarlanti riferendosi alla Tricora. Anche a questo riguardo, per il nome S. Spirito, oltre che nel toponimo della contrada attraversata più a monte dal Cammino, non si ha nessun riscontro documentale se non, come riferito da Don Antonio Mattei, la citazione, questa volta della “cappella” di S. Spirito, contenuta “in una platea del 1703 custodita presso la Curia di Isernia”.



Certa è invece l’esistenza nella contrada, sul finire del periodo altomedievale, della chiesa di S. Johannis de Cuppellis o S. Giovanni di Coppetelle (adoperando il nome del Ciarlanti) e del villaggio di Coppetelle.

Infatti, la presenza della chiesa e del villaggio viene riportata in due bolle papali (la prima di Alessandro III del 1172 e la seconda di Lucio III del 1182, riguardanti i tenimenti della Diocesi di Isernia) e nel Catalogus Baronum del 1166.  

Diversi studiosi si sono cimentati nel cercare l’esatta localizzazione della Chiesa e del villaggio di Coppetelle nelle contrade di Limiti S. Spirito–Cupelle–Campo la Fontana, o nelle attigue Pagliare–Pachiuse–Casasola–Campo Marra–Campo dei Porci–Macerone–Quinti a nord, e a sud nella località S. Ianni del limitrofo comune di Capriati.


Resto di trabeazione affiorante in località Cupelle e epigrafe "QUINTO SOTERECI" rinvenuta in località Quinti.

Tanti e di evidente importanza sono i resti antichi presenti nelle suddette contrade riferibili a un villaggio, o anche a una grande villa rustica romana, o a più antichi insediamenti sannitici (si pensi alla vicinissima Mandra Castellone), ma fino a quando non saranno condotte le necessarie, e auspicabili, indagini archeologiche che consentirebbero un definitivo chiarimento sulle tante questioni aperte, tutto rimarrà affidato solo a più o meno verosimili ipotesi.

Il Cammino completa al Campo la Fontana e al Ponte Latrone, i quasi sei chilometri del corso del Volturno, del nostro Fiume, nel tenimento di Monteroduni, e fa ritorno, seguendo lo stesso percorso dell’andata, a S. Eusanio. Anche il nostro Volturno qui ci lascia per continuare il suo corso nella piana alifana, e infine nella Campania Felix capuana.

Si rientra a casa sazi di aver camminato “dentro” una terra fertile e ricca. Ricca di storia, di storie, di oasi e di… ponti.



Gea Monteroduni
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